Nell’attuale mondo globalizzato, insieme allo sviluppo crescente della scienza, si sono annullate le distanze, tutto è già in quest’istante, e si parla di multipresenza attraverso le nuove tecnologie, di frammentazione dell’io, o dell’io saturato . In questo contesto dagli anni ’70 in poi un nuovo immaginario del corpo comincia ad apparire prendendo posto nelle pratiche e discorsi finora inediti. Succedendo al tempo della ragione, la corporeità ha acquisito un rilievo prima insospettato. Nel postmodernismo i limiti solidi del corpo hanno lasciato spazio alla “modernità liquida” dove i corpi disciolti e senza limiti si svuotano e perdono identità, giacché abbiamo bisogno del corpo per avere un’esperienza cosciente. L’uomo vuoto ed incapace di narrarsi, cerca disperatamente ed illusoriamente di ritrovare sé stesso attraverso diverse pratiche come lo sport estremo, il mangiare in eccesso, l’anoressia, il consumo, il tatuaggio, lo sviluppo della muscolatura. Come sarà possibile avere un’unità e continuità dell’essere in rapporto con se stesso, con gli altri e con il mondo?

 

DUE REALTÀ INSEPARABILI: L’IO ED IL CORPO

La nostra coscienza ed il sé sono inscindibili dal corpo e dalla nostra percezione. Qualsiasi esperienza é inevitabilmente connessa con il corpo . Esso é inseparabile dalla nostra identità personale e sociale, il corpo ed il mondo sono coemergenti. L’io è corporizzato . Il soggetto percepisce se stesso come un essere corporeo totale, il corpo gli permette di discernere l’esterno dall’interno, il dentro dal fuori. Viviamo nella corporeità, perciò le nostre esperienze e la nostra conoscenza del mondo sono mediatizzate dalla condizione storica e obiettiva della stessa corporeità umana. Il corpo é la storia incarnata del soggetto che porta le sue tracce. L’uomo abita il corpo, si mostra, si realizza e si sperimenta attraverso il corpo, il quale é un ricettacolo di sensazioni, valori, virtù e qualità estetiche, e simboliche che trascendono l’aspetto anatomo-morfologico. Il corpo é fonte di narrazioni e discorsi, a partire dai quali l’individuo conforma un’immagine di sé, una rappresentazione significativa di ciò “che é” e di “chi é”, cioè un modello della sua identità personale che si sviluppa in un contesto relazionale. L’immagine corporea, é il risultato di tre aspetti: il significato che noi diamo alla nostra esistenza, il rapporto che costruiamo nel presente con un’altra persona significativa, e il modo in cui i media divulgano i modelli cui adeguarsi. Il cervello ed i neuroni passano per il corpo, sono nel corpo. Il sé e la coscienza sono inscindibili dal corpo e dalla nostra percezione.  I vissuti emotivi si vivono e si esprimono nella corporeità. Così la biologia e la psicologia s’incontrano in un’ontologia del proprio corpo.  Husserl distingue ciò che intende per Leib e per Koper. Koper é il corpo oggettivo, che può essere misurato, studiato, invece Leib é il corpo vissuto, il corpo che siamo, non costruito, che percepisce, cioè il corpo soggettivo. Il corpo umano quindi non é un mero oggetto tra gli altri che esistono nel mondo, ma un soggetto che trascende se stesso verso il mondo, intorno al quale gli oggetti si ordinano in base al significato che l’individuo dá. Quindi, il corpo é il luogo dove si puó dare un senso all’esperienza vissuta. Per Merleau-Ponty, é per il corpo –il mio corpo– e prima di qualsiasi conoscenza esplicita, che sorge un senso nel mondo. “Sentirsi in questa o quella situazione è sempre mediato dal mio essere incarnato”. Questo corpo “sperimentato”, Leib, é quello che percepisce e apre campi di percezione . Quando mi riferisco a qualcuno, o quando seguo con attenzione ciò che l’altro mi dice, il parlare e l’ascoltare, anche se appartengono al linguaggio, sono allo stesso tempo un fenomeno corporeo: sono il modo d’essere corpo nella conversazione. ( non sono divisi mente e corpo)

 

IDENTITÀ E CORPOREITÀ Seitá, ipseitá ed identità narrativa

Ogni individuo ha un senso di unità e continuità storica nella sua vita attraverso l’organizzazione di significato personale che cerca di mantenere una coerenza sistemica, (se pensiamo l’individuo come un sistema). La percezione dell’identità personale non si percepisce come una realtà esterna ordinata obiettivamente, ma é costruita attivamente dal soggetto che conosce e che costruisce la sua identità, ordinando l’esperienza in corso, in base alle sue capacità di elaborazione dell’informazione. Le teorie della mente ( Weimer 1977), dicono che il conoscere non é un processo passivo che copia la realtà esterna ma un processo attivo di costruzione di significati in un fluire permanente del sé, costituendo un processo aperto nel quale si assimilano esperienze in forma incessante in livelli sempre più complessi ed integrati di conoscenza di sé e del mondo. Ma l’esperienza umana é affettiva ed intersoggettiva, pertanto, per l’organizzazione dell’ordine cognitivo umano (inteso in senso ampio – post-razionalista -) sono essenziali le tonalità emotive, conseguenza di processi relazionali. Riuscire ad avere un’identità propria in termini di un significato personale unico e continuo nel tempo, accettato e riconosciuto come valido dagli altri e da se stessi, é vitale per la continuità funzionale del sistema individuo. Quest’esperienza é vissuta a due livelli differenti che corrispondono a due sistemi di processi continui e simultanei, in permanente rapporto funzionale: a) l’esperienza immediata, specialmente tacita ed analogica: e b) la spiegazione, esplicita e legata al linguaggio. L’esperienza immediata, sono delle emozioni tacite, i vissuti, che stanno in diretta relazione col rapporto che abbiamo con gli altri in ogni istante. La spiegazione é la nostra forma di rendere consistente ciò che sperimentiamo e di ordinarlo in forma di pensieri, teorie e costruzioni concettuali. Il rapporto tra l’emozione e la conoscenza esplicita, tra l’esperienza immediata e la spiegazione, costituisce la base strutturale del processo di conoscenza umana quando é tradotta in linguaggio. E’ di somma importanza la relazione che esiste tra la progressiva conoscenza di sé, ( chi sono io) ed il significato che deriva dalle emozioni indotte dai processi relazionali. Su ció influiscono in modo significativo i modelli famigliari di attaccamento. La seitá o “selfhood” cioè “quello che io sono” si organizza in una stabilità ricorrente che proviene dalla propria storia, invece la “sameness” o ipseitá “il chi di me stesso” s’impone immediatamente, disancorato di qualunque previo fondamento, si costruisce ogni momento in un continuo succedersi nel sentire e nell’agire immediati, e scopre simultaneamente il mondo e ha il carattere dell’ imprevedibilità. La stabilitá emotiva individuale é guidata da processi di reciprocità con  un’alterità significativa.  Quindi l’altro, tanto diretta come indirettamente é parte integrante della comprensione di me stesso. Secondo Hanna Arendt “solo possiamo sapere chi é o era qualcuno conoscendo la sua biografia” (Hanna Arendt, 1958), intendendo con ció che l’unitá narrativa delle esperienze della vita integra il senso di permanenza con la variabilità del proprio accadere. Il sentire e l’agire, visti dalla prospettiva della ipseitá, costituiscono una dimensione ontologica che si vede completata in un’ontologia del proprio corpo. In quest’orizzonte l’ontologia del sé s’incontra con la biologia dei sistemi auto-organizzati.

 

CONSUMO ERGO SONO

Mai prima c’eravamo trovati in un sistema che ci dava tanto da scegliere e, soprattutto, che avessimo tante possibilità su cui deliberare. La gioia dell’acquisizione diventa effimera e passeggera. La libertà di considerare la vita come un’uscita prolungata a fare le spese, significa considerare il mondo come un deposito straripante di prodotti di consumo. Data la disponibilità di offerte tentatrici, la potenziale capacità di un prodotto di generare piacere tende a scomparire con rapidità. Si compra o consuma non per scelta propria, ma attratti dalla seduttrice propaganda che penetra nell’immaginario, con l’ illusione di ottenere un senso, che tende a svanire. Il consumo obbliga l’individuo a farsi carico di se stesso, ad assumersi responsabilità; l’era del consumo si manifesta come un agente di personalizzazione obbligandolo ad accogliere e cambiare gli elementi del suo modo di vita. Così finisce per scegliere per scarto e pentendosi a volte dell’acquisto, oppure non decidendo affatto e svolgendo un’ attività senza prendere decisioni, ma lasciandosi andare senza pensare, per inerzia o imitazione.

 

LA LIBERTÀ CONDIZIONATA: MODA, DIETE E PRODOTTI ALIMENTARI,CULTURA DEL MAGRO

Gli individui con un’identità corporea, fuori dei canoni culturali, desiderano a qualunque costo il riconoscimento degli altri. La strategia pubblicitaria che s’introduce nella nostra mappa emotiva individuale, mobilita il senso di colpa, provocando la decisione di comprare prodotti o investire nella trasformazione del corpo. Il corpo, prima presentazione di sé all’altro, ha un ruolo importante nell’attivare angosce di esclusione, in un tempo nel quale la figura e l’immagine sono costantemente al vaglio degli scambi sociali. In questo contesto lo sviluppo di certe patologie trova il suo ambiente propizio: addizioni, eccessi o difetti nel mangiare o nello sport, sono come succedanei ingannevoli del senso di vuoto. Nel disordine alimentare il corpo é al centro degli obiettivi. L’identità, come in una dissolvenza, viene confusa con la corporeità, quindi l’esperienza che rimanda un’immagine negativa di sé, costruisce anche un’immagine negativa del corpo e viceversa. Il corpo umano é presentato in figure metaforiche di perfezione e felicità, simboleggiate nelle snelle e magre “top model” delle passerelle, negli uomini scultorei di una pubblicità di profumo, che non coincide con la vita reale. Questo significa che il dolore e le frustrazioni, i limiti, che la vita trascina inevitabilmente con sé, sono scartate e allontanate, facendo del successo e del guadagno il centro degli obiettivi e mete da raggiungere.  Il corpo pubblicizzato orienta così le azioni degli individui – anche la sua valutazione personale – incitando il desiderio e influenzando la costruzione dell’identità. Questo é il nostro tempo, il tempo della pubblicità unificatrice, che schiaccia le personalità individuali ed atrofizza le facoltà di giudicare e decidere in modo autonomo.

 

ESSERE FINITI, MINACCIA PER IL CORPO GIOVANE

La nuova visione del corpo, il bisogno di trattenerlo ed il culto verso di esso, così come riferiscono altri autori, richiama giovinezza e non invecchiamento, perciò le cure verso il corpo crescono. In questo contesto, cercare di mantenersi giovane é una maniera di permanere nel tempo Già lo dice Chr. Lasch: la paura postmoderna d’invecchiare e morire é costitutiva del neonarcisismo. Il disinteresse per le generazioni future intensifica l’angoscia della morte, mentre la decadimento delle condizioni d’esistenza delle persone d’età avanzata, ed il bisogno permanente di essere valorizzato ed ammirato per la bellezza, l’incanto, la celebrità, costituiscono la prospettiva della vecchiaia intollerabile. Il postmodernismo é un modo d’essere tragico, l’orizzonte si é spostato, non si vede un futuro certo, tutte le strade sembrano insicure, è cioè un tempo di riconoscimento della finitezza. L’uomo é limitato e “finito” e solo se lo si accetta, si può riempire il vuoto esistenziale. Quest’indifferenza ed assenza di senso, é in gran parte responsabile della paura e avversione attuale verso la morte ed il dolore, poiché queste, allo stesso modo che l’invecchiamento, non hanno senso. Questa nuova visione del corpo, col suo bisogno di trattenerlo nella giovinezza che diventa una specie di “culto” ci interroga: è possibile accettare il limite, le frustrazioni come parte della vita? Come diceva Nietzsche: “Ciò che realmente ribella contro il dolore non é il dolore in sé, ma il non senso del dolore.”

 

DISSOLUZIONE DELL’IO, DESOSTANZIALIZZAZIONE

L’uomo odierno si trova desostanzializzato. L’operazione di dissoluzione del soggetto si regge nella separazione tra significato ed esperienza; il significato invece di essere riferito a chi ha l’esperienza, si definisce nella differenza con altri significativi. Reisman un sociologo americano, ha definito il sorgere del carattere sociale come eterodiretto (Reisman 1955), come una nuova modalità della costruzione del senso del sé. A differenza della persona autodiretta, la quale plasma e valuta la sua esperienza grazie ad un senso interno di riferimento, il carattere eterodiretto cerca nell’adeguamento (situazionale) del suo sentire ed agire all’esperienza dell’altro. L’individuo eterodiretto orienta il suo radar captando continuamente segnali esterni e modella su questi il sentire ed attuare personale. In questo sistema il significato, si diluisce nella molteplicità di referenze ed opposizioni con altri significati che costituiscono il sistema. In questo modo, l’individuo non sceglie da sé, ma da ciò che capta dall’intorno, perdendo la possibilità di capire qual’ è la sua esperienza, le sue emozioni, il suo sentire di fronte alla realtà.

 

COME USCIRE DALL’INCROCIO? LO SVEGLIARSI DELL’IO CHE FA ESSERE

Come sarà possibile recuperare il senso di sé, nel suo essere incarnato, che ci porti all’ autorealizazzione? Il corpo é attualmente al centro degli obbiettivi, sopra di lui ricadono le espresioni simboliche di perfezione e felicitá, fizioni create che l’individuo cerca di raggiungere.Il nucleo argomentale della sua angoscia, é la paura ad essere esclusi in un mondo dove l’accettazione passa per un tribunale pubblico. Il paradosso fatale é che abbiamo bisogno dello sguardo dell’altro per provvederci di un certa unitá, poiché in realtá abbiamo solo una visione incompleta di noi, che completiamo con il riflesso che ci ritorna dallo sguardo dell’altro, dove l’immagine di sé, si configura in un processo attivo di costruzione di significati. Questa conoscenza si fa attraverso il corpo che é la storia incarnata, in rapporto con altri ed il mondo. E’ di somma importanza quindi la relazione che esiste tra la progressiva conoscenza di sé, ed il processare delle emozioni che fanno scattare le situazioni derivate da processi relazionali. Ció ha che vedere col modo di percepirci ogni volta, in ogni esperienza presente con un’altro significativo. Quindi l’altro, tanto diretta come indirettamente é parte integrante della comprensione di me stesso. La relazione dunque é il ponte che ci consente di saldare il corpo materia-funzionalitá e il corpo soggetto emozionale. La relazionalitá ben intesa funzionarebbe como elemento unificatrice del nostro vero essere: corpo, mente ed affetti. Come dice Chiara Lubich, nella lezione svolta in occasione del dottorato honoris causa in psicologia: “Il bisogno fondamentale di una persona é di essere riconosciuta nella propria identità unica e irrepetibile, di non essere considerata un numero o un oggetto. Cosí dalla prospettiva del “paradigma relazionale”, l’individualitá si apre al superamento di se, dove succede che é nell’incontro con l’altro che si sperimenta ed scopre il senso pieno della propria identità.” La relazione di reciprocità, che è essenzialmente “edificazione reciproca”, vicendevole dono delle proprie differenze,ciascuna identità realizza ed esprime se stessa senza negarsi. Si profila, così, un paradigma relazionale, in virtù del quale possono coesistere e svilupparsi insieme personalità individuale e comunione. Infatti, le molteplici differenze, di cui ognuno è portatore e che costituiscono la sua specifica e singolare identità, emergono alla luce e si dispiegano del tutto solo quando divengono “molteplicità di doni”. La peculiaritá specifica dell’amore umano consiste in che la relazione con l’altro, é allo stesso tempo, una relazione inmediata e una relazione riflessa. Riorganizzare l’ esperienza dell’altro in un’ immagine produce un tipo di conoscenza che, oltre stabilizare il proprio modo di sentire, apre simultáneamente alla possibilitá di comprensione del tu. La relazionalitá cosí intesa, per tanto, si mostra come uno spazio emozionale e conoscitivo, retto per la maniera in cui si construisce l’esperienza dell’alteritá; della quale dipende la qualitá della affettivitá. L’homo reciprocus, delineato dalla psicologia contemporanea, realizza se stesso aprendosi ad una dinamica relazionale nella quale l’io e l‘altro si implicano a vicenda, si scoprono “cocostruttori” di un benessere comune, nel quale si esperimenta una “co-partecipazione”. Si tratta di far dono gratuito di sé, anche se non sono corrisposto, e di assumere pure i limiti che ci possono essere nel rapporto, sia per la mia chiusura o per ripiegamenti altrui, affinché l’altro possa svilupparsi nel momento e nei tempi in cui gli sia possibile. Questo dono di sé in maniera cosciente, non in modo imposto né per dovere, ma liberamente in un atto di donazione, ci fa essere. Questa tensione di se stessi verso l’altro s’incrocia, col movimento reciproco dell’affetto che l’altro riversa su di me. 2In questo modo, “l’altro-di-me” partecipa nella costituzione della mia ipseitá e nella comprensione di me. Basta pensare per esempio, a come la pressione emotiva personale può guidare la costruzione dell’esperienza e la comprensione che un bambino ha di se stesso25. Allora possiamo confermare le parole di Chiara Lubich: “La sola relazione con l’altro che non sia violenza o condizionamento, ma che riconosca e rispetti la sua “persona” come essere trascendente, é “amarlo come se stessi”, poiché il mio amore non soltanto conferma l’altro nel suo essere distinto da me, uguale a me, trascendente come me, ma “fa essere” anche me”. E’ per questo tipo di sguardo che l’altro, sentendosi riconosciuto nella sua identità vera, potendo essere se stesso senza dover adeguarsi, é che potrá scegliere da sé, superando le angoscie di questo tempo e potrá a sua volta donarsi nascendo cosí la reciprocità.

 

 

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