Spazio che intercorre tra il mio corpo e il corpo dell’altro, ed anche il tempo che intercorre tra il mio punto di partenza e il mio arrivare all’oggetto/soggetto che desidero….concetti definiti dal desiderio e dal piacere che mi lega all’altro.

Il piacere di avvicinarsi e con-fondersi, il desiderio di allontanarsi per poter fare da soli, allontanarsi per sentirsi grandi e capaci di reggere la distanza, e riavvicinarsi per essere rassicurati dalla presenza e dal contatto, sguardi che accompagnano e non lasciano soli e permettono di sopportare l’assenza, voce, sguardo, mimica, sorrisi e sorprese, limiti che traspaiono da occhi e bocca osservati e attesi.

Braccia che avvolgono e coinvolgono da desiderare che tengono, sorreggono e lasciano andare,  contatti che limitano e separano il mio corpo dal tuo.

Concetto di tempo legato al mio sapere di avere una casa – base, che è il mio spazio, il mio essere nel mio corpo e abitarlo. “Abitare non è conoscere, è sentirsi a casa” (Galimberti – Il corpo). Il tempo è definito dal mio occupare uno spazio così come lo spazio e temporalmente definito dal mio corpo.

Permettere la ricerca di un proprio spazio e tempo è principio fondante dell’approccio psicomotorio, lo psicomotricista permette all’altro dopo averlo permesso a sé stesso, nella sua formazione, di ricercare e definire quei confini così personali e definiti dal proprio bisogno e desiderio.

Il piacere del bambino nella sala di psicomotricità può essere ricercare, ascoltare e sentire il proprio tempo, diverso dal tempo dell’adulto e del bambino che ha a fianco, difensore del proprio spazio che a volte faticosamente conquista e che lo fa dire alzando il tono di voce : “E’ mio”.

Da febbraio il nostro spazio/ tempo ha subito la violenza dello spazio/tempo  del Virus, con la lettera maiuscola perché nonostante la sua piccolezza ha sconvolto le nostre relazioni, le nostre libertà, bisogni e desideri.

In pochi giorni il mondo si è ritrovato in un tempo sospeso nello spazio costretto della Fase 1 e in uno spazio -tempo deformato della fase 2.

Bambini, adolescenti, adulti hanno sperimentato una nuova realtà, un nemico invisibile che noncurante dei bisogni e dei desideri ha costretto relazioni alla distanza e alla paura, alla mascherina e allo sguardo rivolto più che al sé alla ricerca del nemico microscopico.

Gli spazi sono diventati ristretti, obbligati, conosciuti sino a qualche settimana prima come luogo di partenza verso il fuori e ora luogo di partenza e di arrivo di tutti gli abitanti che diventano in questo luogo obbligato degli sconosciuti che devono ri – conoscersi.

Ri – conoscersi?

Ho pensato molto in questi due mesi al mio spazio casa che negli anni era diventato scontato perché conosciuto come 4 muri che permettono l’uscita e il riparo al rientro, non mi ponevo il “problema” del mio spazio perché vissuto in condivisione, lo spazio di tutti in cui ognuno definiva il tempo di utilizzo in base al tempo che non si passava fuori. Un dentro/ fuori scandito da orari e impegni, poco pensato perché immerso in un mondo conosciuto e un po’ mordi e fuggi, sicuramente scontato perché appartenente ad un mondo personale, rassicurante e base sicura.

Lo spazio non più ricercato ma obbligato ha permesso/costretto ognuno dei partecipanti a questa nuova storia di ri-definizione del mio luogo/tuo luogo in un tempo incerto scandito dalle comunicazioni settimanali delle nuove regole. Immaginare nuovi scenari: distanza, protezione, paura, morte, speranza. Incertezza mi viene da dire un tempo che non dà il limite, non scandisce un prima, un durante e un dopo ma un forse.

Ognuno gioca la propria storia in questo forse, la paura di pensare che non tutti abbiamo la certezza di comunicarci e di convincerci che “andrà tutto bene” e perché dovrebbe?

Cosa dobbiamo/possiamo fare per fare andare tutto bene? Sperare, pensare o fare, ma fare in un tempo/spazio sospeso e indefinito è possibile?

Andrà tutto bene perché noi, ricchi di grandi certezze, abbiamo paura di dire ai bambini , ai ragazzi, agli anziani che abbiamo paura e che non sappiamo come potrà finire tutto questo?

Questo spazio-tempo indefinito ha permesso/obbligato alla ridefinizione delle relazioni, la confusione ha impegnato ognuno di noi nella ricerca delle proprie risorse “Me”, affrontare lo sconosciuto, rimanere in equilibrio o ancora sopportare il disequilibrio.

Articoli di questi ultimi giorni recitano: dopo le ferite del corpo pensiamo alla salute mentale e queste ferite della psiche vengono riferite al lutto, la perdita, il danno economico e l’incertezza per il futuro, questo sicuramente ha accentuato quella che secondo me è legata all’aver passato queste settimane di lockdown con sé stessi e con le proprie risorse profonde.

Il mondo occidentale e la sua frenesia ci porta ad accelerare costruzioni identitarie, a far diventare grandi bimbi piuttosto che accompagnarli alla crescita, a puntare su “apprendimento di massa” lezioni e nozioni che vengono imposte dal bisogno di “appiccicare” nuove competenze più che permettere ad ognuno di affrontare il tempo- spazio- desiderio  della relazione con l’altro.

E in questo momento storico in cui ognuno di noi deve “forzatamente” accedere e attingere alle proprie risorse profonde, quelle nozioni non sono altro che massi pesanti; razionalità che appare costretta come appaiono costrette  le scritte “andrà tutto bene”.

Lo spazio e il tempo interno si incontrano e si intersecano con lo spazio/tempo indefinito, lo spazio interno si allarga e si allunga nel fuori, in modo invisibile e asintomatico, goccioline di me che invadono e si intrigano nel corpo dell’altro e rischiano di infettarlo, che vengono trattenute solo ed esclusivamente da oggetti esterni che bloccano meccanicamente, io non posso farlo, lo fa il mezzo meccanico al posto mio , mezzo che oltre a permettere al mio spazio di rimanere tale cela e ferma la mia mimica, come recita una pubblicità ”ora siamo tutti uguali”.

Siamo tutti uguali perché tutti ugualmente “pericolosi” nel nostro spazio non più definito, e se il mio spazio è indefinito ma definibile “meccanicamente” io dove inizio e dove finisco?

Trovarsi uguali perché ugualmente vestiti appare paradossale, quello che ci rende uguali in questo momento storico dovrebbe essere il ritrovarci a cercare un nuovo equilibrio per poter reggere questo disequilibrio.

Spazi e tempo diventano la cornice , si parla di metri quadrati di spazio personale dove prima c’era lo spazio spesso definito dalla lunghezza di un braccio, distanze non definite dalla sensazione personale e dall’incontro di umanità ma stabilite dalla virulenza di un essere invisibile, si hanno contatti di piede dove prima c’erano strette di mano per conoscere il tono dell’altro. Ci sono sguardi dove fino a tre mesi fa c’erano contatti. Il tempo dell’oggi sfugge perché non si riesce a definire quando quest’oggi potrebbe essere lungo, domani potrebbero nuovamente modificarsi i confini del limite.

Continuerà…….

Di Stefania Lanaro

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