L’adolescenza intesa come terra di mezzo è il momento complicato in cui corpo e mente in quel tutt’uno definito persona prende nuovi aspetti e aspettative, quel lido dell’infanzia si allontana e il mondo osservato e forse amato/odiato dell’adultità si avvicina.

L’adolescenza è il caos psicomotorio, il corpo cresce si modifica, si sviluppa, si trasforma, le conquiste, i desideri e bisogni dell’infanzia lasciano il posto al “ma io chi sono”

Quel corpo si trasforma spesso in una pelle stretta che diventa costrizione, una pelle forata che non riesce a con-tenere, è non sapere più nulla di sé stessi, non riconoscersi, ma se non si è più sé stessi chi si può essere? E soprattutto cosa si può diventare? Nasce il desiderio e il bisogno di essere altri da sé, assomigliare a, apparire come, diventare come, e le immagini entrano nel desiderio.

Questa distanza tra il corpo reale e il corpo immaginario crea una crepa che fa sentire il vuoto, che fa male perché fa sentire il dentro, il sé scoperto e nudo. Il corpo diventa la scena, lo spartito nel quale la difficoltà di riconoscersi nel corpo imperfetto può avere un luogo, può essere il palco su cui le emozioni insostenibili e incontrollabili possono rappresentarsi, si ha la messa in “mostra”; quando il controllo interno non riesce più a contenere le paure, le insicurezze e il vuoto, si tenta allora il controllo dall’esterno: il corpo oggetto da ingabbiare e che ingabbia.

L’approccio psicomotorio nell’adolescenza è forse proprio questo…trovare un modo per rispondere a questa domanda esistenziale, non più chi sono, ma chi mi sento di essere!

L’obiettivo di tutto il lavoro è ritrovare la consapevolezza delle proprie sensazioni, all’interno del proprio corpo per andare ad incidere sulla primitività della costituzione del sé.

L’essere consapevoli del proprio corpo attraverso il movimento creativo rende possibile dire “io sono” nel mondo, nel trascorrere del tempo e nei cambiamenti che la vita ci propone ogni giorno.

Ascoltare il proprio passo, il proprio percorso, il proprio posto per rispondere al bisogno\necessità\desiderio di avere un punto di partenza. Questo ascoltare spesso mai sperimentato, può spaventare, è un sentire il corpo profondo, le sue crepe e le sue bolle di vuoto che accompagnano il percorso di vita.

In un gruppo si parlava della paura di ascoltare il corpo, “lui non mente come le parole, le parole possono aiutare a nasconderti, puoi raccontarti come meglio credi, il corpo non mente, ti può far sentire nudo.

La difficoltà nel  lavoro con gli adolescenti è spesso più una difficoltà di raccogliere il bisogno di poter essere adolescenti, e spesso quello di riuscire ad integrare questo percorso in un percorso più ampio per non aver solo l’obiettivo di creare l’isola felice del poter essere.

Per poter essere non solo un momento all’interno del percorso dell’adolescente ed essere integrato nel suo percorso di crescita, gli incontri psicomotori dovrebbero essere inseriti in un contesto educativo/comunitario fortemente connotato e indirizzato al permettere l’allontanamento  dalla  situazione di onnipotenza narcisistica supportata spesso dall’utilizzo di sostanze,dalla chiusura alla relazione autentica con l’altro e dal ricorso all’eccesso di difese primitive.

L’approccio psicomotorio fortemente connotato dalla relazione utilizza un setting in continuo movimento, creato appositamente per quel gruppo, per poter lavorare nello spazio/tempo attraverso la comunicazione non verbale, l’ascolto, lo sguardo, nella vicinanza/lontananza rispetto all’altro.

Il dispositivo è quello psicomotorio, i principi sono quelli dell’ approccio psicomotorio: osservare, partecipare, giocare per, e soprattutto esserci

Il dispositivo è il setting, le regole, l’ascolto e la gestione del setting nel tempo e nello spazio, è la creazione di un ambiente che favorisca il desiderio di crescere. È il dispositivo che deve poter permettere il desiderio, che garantisce la sicurezza, che permette la messa in gioco del Sé, che permette di vedere la paura, di guardarla e di poterla vivere, di sentirla meno distruttiva, di poter riconoscere il proprio muro e di raccontarlo.

Raccontare per poter creare distanza, l’obiettivo è decentrarsi, vedere e riconoscere per poterci lavorare sopra, il dispositivo permette di vivere il proprio vuoto pieno di paure, nella sicurezza di poter vivere quello che in quel momento, nel qui ed ora è possibile, nulla di più del “proprio possibile”.

Per lavorare con il corpo e incontrare il corpo adolescente bisogna aver potuto lavorare con il proprio corpo, ascoltare in modo profondo per potersi proporre  con l’adolescente come Altro simbolico, come “sostituto” del caregiver primario, esserci profondamente, sentire con la pancia non solo ascoltare le parole, proporsi come altro significativo.

Che cosa ne pensi?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: