L’attore inglese, una delle incarnazioni del Doctor Who, confessa di soffrirne da sempre: un fenomeno misconosciuto e pericoloso.
30/09/2019

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MIKE MARSLANDGETTY IMAGES

La notizia è di quelle che da noi vengono più o meno ignorate: Christopher Eccleston (la nona incarnazione di Doctor Who, e uno degli attori più dotati e rispettati della sua generazione) ha scritto un’autobiografia di prossima pubblicazione, I Love the Bones of You. E già dal titolo se ne intravede il contenuto: Eccleston racconta di soffrire di anoressia “da una vita”, e di avere sempre soppresso e nascosto il problema. Uomo, adulto, inglese del nord proveniente dalla classe lavoratrice: la vergogna era troppa. C’erano, in compenso, dei vantaggi connessi alla privazione del cibo: come attore era più facile per lui ottenere delle parti se rimaneva magro.

È una storia che abbiamo già sentito, ma le voci narranti sono sempre donne: Judy Garland fu costretta a dimagrire per interpretare Il Mago di Oz, e le pressioni subite le causarono un disturbo alimentare che si trascinò tutta la vita. Carrie Fisher fu spedita in una clinica dimagrante prima che iniziassero le riprese di Star Wars. Abbiamo ancora nelle orecchie gli sfottò all’indirizzo di Daisy Ridley per il leggerissimo arrotondamento avvenuto fra Il risveglio della Forza Gli ultimi Jedi. Che magrezza sia uguale a bellezza e a maggiore probabilità di ruoli da protagonista sul grande e piccolo schermo non è proprio una novità. Quello a cui non siamo abituati è un uomo adulto che parla del suo disturbo alimentare.

Era successo a metà degli anni ’90, quando Richey Edwards (chitarrista dei Manic Street Preachers) finì in clinica per abuso di alcool e anoressia. Il suo ricovero fece notizia, come la sua scomparsa improvvisa, nel febbraio 1995: e per scomparsa intendiamo proprio “scomparsa”, Edwards fece perdere le sue tracce e fu dichiarato morto sette anni dopo senza che nessuno abbia mai trovato il corpo o capito che fine abbia fatto. Di lui ci rimangono le foto, il volto scavato e gli occhi enormi cerchiati di eyeliner, che indossava per glamour e perché negli anni del grunge e delle camicie di flanella da tagliaboschi era fra i pochi uomini eterosessuali ad abbracciare un’estetica genderqueer.

Photo of Richey EDWARDS and MANIC STREET PREACHERS

Richey Edwards dei Manic Street Preachers nel 1994Mick HutsonGetty

Christopher Eccleston è un caso molto diverso, e non solo perché la sua identità di genere è tutto meno che queer, ma non è certo un caso isolato. Le statistiche del Regno Unito parlano di circa un milione e mezzo di pazienti affetti da disturbi alimentari, dei quali il 25% sarebbero maschi. Una proporzione molto più alta rispetto a quella segnalata in Italia, dove gli studi epidemiologici sono scarsi e le stime parlano di 3.000.000 di pazienti con una vasta preponderanza di donne (95,6%). Resta il fatto che i disturbi alimentari, e in particolare l’anoressia, sono associati alle donne; e se ne parla sempre nel modo sbagliato, con moralismo, accusando la moda e i “modelli” sbagliati. Come se un disturbo mentale potesse essere generato dalla visione di Kendall Jenner in bikini, e come se chi soffre di disturbi dell’alimentazione fosse una vittima della vanità, e non una persona devastata dalla sofferenza che sfoga sul corpo il suo bisogno di controllo.

I fattori ambientali sicuramente concorrono a rinforzare l’idea che il cibo sia peccato e il corpo debba essere soggetto a disciplina, e a nessuno come ai grassi viene richiesta una contrizione costante. Un’occhiata anche solo superficiale a Vite al limite, il programma in cui americani obesi come conseguenza di traumi e abusi e scarso accesso a cibo di buona qualità vengono colpevolizzati e ridotti alle lacrime davanti alle telecamere in cambio di un intervento di chirurgia bariatrica, ci mostra la vera natura del nostro rapporto con il corpo grasso: orrore, disgusto, giudizio morale sull’obeso che smette di essere una persona e diventa un simbolo, un poster della malattia che deve nascondersi per non contagiare gli altri, e chiedere scusa a ogni passo.

Molti dei pazienti di Vite al limite sono maschi, ma lo show non parla quasi mai di disturbo alimentare, né sembra offrire un vero supporto psicologico a pazienti che prima ancora che da obesità sembrano essere affetti da una forma grave di bulimia non diagnosticata, che passa inosservata finché non sfocia nella disabilità. Intorno all’obeso grave si muovono altre persone in grave sovrappeso, la cui alimentazione e salute non vengono monitorate e che anzi vengono intervistate come se fra loro e il candidato alla chirurgia ci fosse un’enorme differenza umana, di tenuta, di carattere, di fibra.

Non è difficile capire perché Christopher Eccleston abbia tenuto segreto il suo disturbo. Un uomo che soffra di bulimia può sempre mascherare dicendo di essere “una buona forchetta”, e soffre meno lo stigma dell’aumento di peso. Una donna anoressica può nascondere il malessere dicendo di essere a dieta, se è già magra ci butta dentro un vago motivo di salute: non c’è giornale femminile che non ci spieghi come dimagrire con i funghi, la zucca, il minestrone, l’acqua e limone, lo yoga, il pensiero magico, basta che li perdi, quei quattro chili che in ogni stagione ti separano dalla tua forma perfetta.

Un uomo anoressico non ha di questi paraventi, che però sono segnali di un allarme sociale che può essere salvifico, e possono passare anni prima che qualcuno si accorga del problema. I genitori delle femmine sono più facilmente sensibilizzati all’argomento, ma quelli dei maschi? Chi va a pensare che il ragazzino che ha cresciuto con l’idea che i maschi siano esseri per natura più resistenti, meno sensibili agli urti della vita e più solidi nella loro idea di sé stessi finisca per sviluppare un disturbo alimentare che nell’immaginario comune è dominio delle ragazze?

L’aumento dei casi fra i maschi potrebbe non essere una cattiva notizia. Aumento dei casi non significa necessariamente che ci siano più anoressici, ma solo che ci sono più diagnosi, più persone che chiedono e ottengono aiuto, e quindi in prospettiva meno morti. Forse il discorso da fare sui disturbi alimentari parte proprio dal genere, e dalla sua decostruzione in termini antitetici di forza/debolezza, valore/disvalore. Ma soprattutto bisogna cominciare a parlarne nel modo giusto: come di problemi mentali, manifestazioni di una sofferenza profonda e autodistruttiva che ha bisogno di risposte altrettanto profonde

per saperne di più: https://www.esquire.com/it/news/attualita/a29103863/christopher-eccleston-anoressia-maschile/

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