Quando si parla di narcisismo ci si deve confrontare con una grande assenza: quella di un’identità unitaria che il narcisista compensa con un’immagine atta a colmare un vuoto e a rispondere ad un’insicurezza, un’insicurezza che egli non ammetterà mai, a meno che non faccia un lungo e travagliato lavoro sulla consapevolezza di sé. È proprio il sé che il narcisista deve andare a riscoprire.

Alexander Lowen sostiene che “il neonato nasce con un sé che è un fenomeno biologico  e non psicologico”. Il sé, dunque, è l’essenzadella persona, il nucleo di un individuo. È quello che realmente egli è in potenza, la dimora delle emozioni e dei sentimenti.

Da bambini, man mano che si cresce, ci si autorappresenta: ci creiamo un’immagine di ciò che siamo, l’immagine della nostra identità. In altri termini ci creiamo un’immagine di noi stessi. Quanto più l’immagine che ci creiamo si distanzia dal sé reale, tanto più si crea un’incongruenza.

Il bambino, futuro narcisista, si allontana dal nucleo per difesa, va a creare un’immagine che viene riconosciuta e accettata dal suo ambiente, rinnegando il suo nucleo. Egli crea un divario tra ciò che è e come si rappresenta, smarrendo il contatto con la sua parte più essenziale, quindi con le sue emozioni, sensazioni e sentimenti.

Al posto del suo nucleo, del suo vero sé, il bambino si crea uno stato di difesa che nega la percezione autentica di sé, nega tutti gli stati di dipendenza, di vulnerabilità e di bisogno.

Il narcisista si identifica con la sua immagine e perde il contatto con la dimensione del sé reale. La sua immagine è fortemente autoreferenziale, di grandiosità, è ipertrofica; egli prende le distanze da ogni percezione di limite e di vulnerabilità, si nega di aver bisogno dell’altro, si nega il bisogno del calore e dell’affetto dell’altro, nega la necessità di vivere in una dimensione relazionale.

Il narcisista, quindi, attua un taglio sia con la percezione del suo mondo interiore che con il mondo esterno, ovvero crea una dissociazione con il dentro e con il fuori, vivendo spesso all’interno di una bolla fatta solo della sua immagine e delle sue convinzioni, che lo fanno sentire al sicuro.

Affettivamente si dimostra distaccato, indifferente e irraggiungibile, confermando a se stesso di non aver bisogno di nessuno.

Nel lavoro, il narcisista ha ottime capacità organizzative e un buon livello di problem solving; di solito è un leader. Vive il lavoro come un’importante affermazione di sé e della sua grandiosità, del suo potere e della sua superiorità.

Quali sono le origini del suo modo di essere?

Il narcisista è stato un bambino che ha avuto un tipo di attaccamento insicuro evitante; è stato John Bowlby, psicologo e psicoanalista britannico, ad elaborare la teoria dell’attaccamento, interessandosi in particolare agli aspetti che caratterizzano il legame tra la madre e il bambino e a quelli legati alla realizzazione dei legami affettivi all’interno della famiglia.

L’attaccamento insicuro evitante è caratterizzato dal fatto che il bambino focalizza la sua attenzione sul gioco e sull’ambiente, soprattutto su cose inanimate; egli investe le sue energie fuori dalla relazione con i genitori e, in alcuni casi, in particolare con la madre.

Il bambino non cerca la madre, non mostra il desiderio di una vicinanza con lei, non piange, né reclama la sua presenza, piuttosto evita il contatto con la madre, per tenere sotto controllo il suo bisogno di accudimento, che secondo le sue aspettative non potrà essere soddisfatto adeguatamente.

È come se dicesse: “Io non ti cerco, perché tanto lo so che non potrai o non saprai soddisfare il mio bisogno di accudimento. Ti evito per non sentire il dolore dovuto al vuoto”.

Il rivolgere l’attenzione all’esterno della relazione affettiva da parte del bambino è un meccanismo di difesa, per cui il piccolo preferisce portare l’attenzione sugli oggetti inanimati piuttosto che sugli esseri umani. Ed è proprio perché hanno imparato precocemente ad organizzare il proprio spazio e il proprio tempo che da adulti questi bambini svilupperanno un’ottima capacità organizzativa e una buona intelligenza pratica.

A caratterizzare questa modalità relazionale, dall’altra parte, ci sono due figure genitoriali affettivamente assenti. Ed ecco la grande assenza che fa sentire la sua incidenza: due genitori che si  sono presi poca cura del bambino nei suoi bisogni. Anzi, bisogni che sono stati rimpiazzati dall’immagine ideale del figlio, che il genitore ha proiettato sul bambino stesso. 

Quella del genitore, in questo caso, è una figura di attaccamento non presente, non disponibile, ma anche non disponibile a vedere il bambino per ciò che è, ad ascoltare i suoi bisogni, ad accoglierlo nella sua vulnerabilità.

Il figlio è stato disconfermato nell’espressione della fragilità e della vulnerabilità legittima in ogni persona, ancor di più in un bambino. Non è stato riconosciuto nelle sue attitudini più naturali e spontanee.

I bisogni del bambino non solo non sono stati riconosciuti e sostituiti con un’immagine, ma spesso la sua vulnerabilità, la sua fragilità, sia quella caratteristica dell’infanzia che quella individuale, sono state ridicolizzate.

Il bambino, dal canto suo, percepisce il rifiuto per il suo modo di essere. Non ricevendo un rimando empatico, si è instillato in lui un precoce autoconvincimento riguardo alla propria indegnità e non amabilità, che fa emergere il sentimento della vergogna.

La vergogna investe il nucleo più profondo della persona, investe primariamente il sé. Il sentimento nucleare del bambino e poi del futuro narcisista è proprio la vergogna.

“La vergogna tiene in ostaggio il vero sé e congela la vitalità del bambino interiorizzato” (M. Borgioni); essa lo blocca nella sua autentica espressione di sé.

I genitori

I genitori, più che vedere il bambino per quello che è, creano un’immagine del loro figlio ideale, un’immagine che sia funzionale per un buon riconoscimento sociale.

Il bambino disconfermato, pur di essere amato, aderisce a quell’immagine che gli viene proiettata addosso.

La relazione tra il futuro narcisista e il genitore è fatta di manipolazione da parte di quest’ultimo, affinché il bambino si adegui all’immagine che egli proietta su di lui; il genitore, dunque, inizia a manipolarlo.

È come se dicesse: “Tu devi essere come io ti vedo, o come ti desidero”.

La manipolazione avviene all’interno di un rapporto speciale e di grande complicità tra il genitore e il figlio. Questo rapporto così speciale significa entrare nel mondo del genitore e rinunciare alla propria libertà di essere. Tale relazione fa sentire il bambino speciale e unico nonché diverso dagli altri, ma anche implicitamente superiore. Un simile rapporto per un  bambino è assolutamente irresistibile, soprattutto se prima si era sentito rifiutato.

I genitori di un adulto narcisista sovraneggiano sull’identità di questa persona, manipolandola e rinnegandola.

Il motivo per cui un genitore potrebbe comportarsi in questo modo sono infiniti, alcune delle mie ipotesi sono le seguenti:

  1. le vulnerabilità del bambino rispecchiano le proprie, non accettate;
  2. il bambino viene visto come un’estensione del genitore, pertanto deve essere all’altezza delle sue aspettative;
  3. il bambino viene considerato un trofeo da mostrare, per cui deve rispondere alle caratteristiche socialmente vincenti;
  4. i genitori sono immaturi o hanno nevrosi disfunzionali a se stessi e al figlio;
  5. per alcuni genitori il figlio deve avere successo nella vita, spesso per compensare un senso personale di fallimento;
  6. i genitori tendono ad identificarsi con i figli e a proiettare su di loro le proprie aspirazioni e i propri desideri;
  7. il bambino deve essere fuori dal comune, così da ricevere i riconoscimenti che faranno sentire importanti i genitori.

Sono genitori cattivi o spietati? No, sono esseri umani e in quanto tali limitati e con il loro bagaglio di fragilità, che molto probabilmente è inconsapevole, oppure in loro vive una vulnerabilità che è ai margini della coscienza, non è accettata e pertanto viene soppressa, così come avviene anche nel figlio.

Quale modello relazione ha interiorizzato?

Il bambino interiorizza un modello relazionale che da adulto si caratterizza per una totale sfiducia nelle relazioni, non ha interiorizzato nessuna forma di legame emotivo e non ha un approccio all’intimità. Non avendo conosciuto una relazione intima con il genitore, non ha sviluppato la capacità di entrare in intimità con gli altri.

La relazione è vista come una manipolazione dell’altro a proprio favore. Non riconosce nell’altro un’individualità, ma lo vede come una rappresentazione, un’immagine. L’altro è funzionale al narcisista e viene accettato se riconosce, apprezza ed enfatizza la sua immagine.

Nelle relazioni non c’è coinvolgimento emotivo.

Quale relazione ha con gli altri affettivamente?

Il narcisista non vede gli altri come persone reali, ma solo come oggetti da usare per affermare la sua supremazia, la sua superiorità. (A. Lowen)

Da adulto la dinamica delle proiezioni continuerà nelle relazioni. Il narcisista è stato così abituato ad assorbire le proiezioni dell’ambiente familiare e ad adeguarsi ad esse che anche da adulto rimanderà all’altro l’immagine che egli si aspetta. In altre parole, diventerà una tabula rasa o una lavagna bianca su cui l’altro vedrà o scriverà il personaggio di cui vuole innamorarsi.

Nella relazione il narcisista risponderà con una rappresentazione di sé, anche perché ha una struttura identitaria molto fragile e camaleontica: muta al mutare dei contesti e delle persone che incontra.

L’altro proietterà i propri bisogni e i propri desideri,  non lo vedrà per quello che è, anche perché è difficile vedere il vuoto; la proiezione, infatti, è possibile proprio per la presenza del suo vuoto. Una tale relazione diventa una relazione tra ciechi e sordi, perché l’uno non vede l’altro: il narcisista non vede le richieste e i bisogni dell’altro, l’altro non vede la sua disperazione per la sua impossibilità ad un contatto autentico.

Ecco perché spesso il narcisista viene definito un grande seduttore, in realtà non fa niente per sedurre, fà lo specchio.

“Il narcisista è del tutto incapace di entrare in contatto con gli elementi autentici del proprio sé reale, si lascia sedurre dalla propria immagine, la coltiva con estrema dedizione, vi investe moltissimo e alla fine si identifica completamente in essa. Si potrebbe dire che tale attrazione costituisca per lui una vera e propria forma di narcosi, che assorbe molte delle sue energie e gli impedisce di guardare all’altro se non come a uno specchio riflettente il suo ego. In effetti il narcisista costruisce le sue relazioni solo in funzione di se stesso. Sfornito di qualunque attitudine empatica, privo di sensibilità interpersonale, tende a usare l’altro come oggetto ammirante e a sottometterlo al proprio egoismo, solo per trovare conferma alla potenza della propria immagine e per ristabilire ogni volta la sua superiorità. Nel costante bisogno di confermare il primato di sé, di autoalimentare la propria illusione di invincibilità e di onnipotenza, il narcisista può diventare presuntuoso, arrogante e aggressivo. Abile seduttore, sovente si presenta nelle relazioni mostrandosi molto capace di catturare l’attenzione, attraendo grazie alla propria capacità di fascinazione; è spesso una persona di successo nonché un raffinato manipolatore.” (Massimo Borgioni)

Il dramma di queste persone è la loro incapacità di amare; un individuo con un disturbo narcisistico si accosta agli altri trattandoli come oggetti da usare e da abbandonare secondo i propri bisogni, incurante dei loro sentimenti.

Il narcisista teme l’intimità perché la vive sempre come invasiva e come una minaccia alle sue difese, vive il sentimento con freddezza, distacco e mancanza di empatia; la sua illusione è che non ha bisogno di nessuno, in realtà soffre intimamente di un bisogno di dipendenza.

La sua frase: “Io non ho bisogno di te”.

L’atteggiamento che il narcisista avrà con gli altri è di evitamento, di distacco. Nelle relazioni ha bisogno di negare e svalutare l’altro a favore della sua idealizzazione. Nelle relazioni, l’altro non viene cercato come altro da sé, con una sua soggettività, a cui arrivare con una risonanza empatica, ma come uno spettatore che confermi la sua immagine.

La paura del narcisista è di sentire il vuoto, questo sentimento di vuoto è lo spazio che intercorre tra l’immagine e il suo vero sé, che è temuto, disconfermato e in parte sconosciuto, perché è il luogo dove albergano stati di bisogno e richiami alla dipendenza, che sono l’esatto opposto dell’immagine costruita con tanta dedizione. Il narcisista, infatti, ha un’idea di sé grandiosa, di successo, autonoma e indipendente, ma in realtà dipende totalmente dalla sua immagine, che ha bisogno di un pubblico che possa sostenerla e confermarla.

Qui si evidenzia tutta la fragilità del narcisista, che lo rende soggetto a crolli depressivi.

Per il narcisista un insuccesso o un mancato riconoscimento, una disconferma o un abbandono rappresentano eventi in grado di farlo precipitare in un improvviso stato di crisi o disperazione, perché viene distrutta la sua immagine e quindi la sua presunta identità. Un abbandono viene vissuto come un attacco a se stesso, alla  potenza della sua immagine e come un fallimento del proprio potere sull’altro.

La depressione del narcisista è accompagnata da una forte autocritica. Quando l’immagine si sgretola, il narcisista inizia a precipitare nell’abisso di se stesso, scende nel suo corpo, ad un livello organismico.

Come sappiamo il corpo ha i propri vissuti, i propri sentimenti, sebbene lui se li neghi; il primo sentimento reale che toccherà è la vergogna.

Essa è il primo sentimento che ha sentito da piccolo quando è stato umiliato perché era un bambino e dunque aveva paura, aveva bisogno, era in uno stato di dipendenza. È stato umiliato quando si dimostrava vulnerabile e chiedeva aiuto e per questo è stato fatto vergognare.

Quando perde l’immagine, il narcisista scende nel suo corpo e sente la sua vergogna che, se elaborata, può mettersi in contatto con il suo dolore per la perdita di sé, per la perdita del contatto con la sua vulnerabilità, per questa sensazione di freddezza interiore e per la perdita del bisogno di dipendenza che gli è stato precocemente negato.

“Nell’identificarsi con un’immagine grandiosa si può ignorare la penosità della propria realtà interiore”. (A.Lowen)

Il sesso

Per un uomo di questo tipo l’atto sessuale è un sostegno alla sua immagine gonfiata ed è un momento di inconscia umiliazione di una donna.

Il narcisista prova una grande eccitazione genitale, ma non un desiderio sessuale.

La differenza tra i due sta nel fatto che “il sentimento sessuale avvolge tutto il corpo in un senso di eccitazione, di calore e di struggimento alla prospettiva o alla realtà del contatto e dell’intimità con l’altro”. (A.Lowen)  Un uomo può eccitarsi senza avere alcun desiderio di vicinanza e di intimità con una donna. In questo contesto in cui mancano le emozioni, un uomo o una donna trasformano l’atto sessuale in una performance.

Siccome sono soliti eccellere nelle loro attività, sono dei buoni performer.

Il corpo

Come ci ha insegnato Alexander Lowen un corpo rigido, teso, con una muscolatura contratta è associato alla repressione dei sentimenti. Quanto più è rigido il mio corpo tanto più l’emozione è bloccata all’interno e quindi non riesco ad esprimerla.

Come dice la parola stessa, e-mozione, l’emozione è qualcosa che sta dentro e denota un movimento e una direzione dall’interno verso l’esterno. Per esempio l’amore mi farà protendere verso qualcuno, quindi si manifesterà nel corpo e con  il corpo.

Molti narcisisti hanno un corpo rigido come delle statue, come dice Lowen; con questo atteggiamento corporeo trasmettono sicurezza, potere e autorità.

I corpi di molti narcisisti, però, sono piuttosto agili, morbidi, armoniosi ed elastici, hanno grazia e vitalità, qualità che indicano la presenza di emozioni; tuttavia, il loro comportamento è privo di sentimento, perché non bloccano il meccanismo di sentire, vivere ed esprimere il sentimento stesso, ma viene bloccata la funzione percettiva. I narcisisti decidono di non sentire; è una decisione presa a livello subliminale, ai margini della coscienza, quindi si negano la possibilità di percepire una realtà sgradevole. Inizialmente la negazione è consapevole poi, con il tempo, diventa del tutto inconsapevole.

Questa negazione si struttura nel corpo sotto forma di tensioni croniche alla base del cranio, nei muscoli che congiungono la testa al collo.

I narcisisti hanno sovente uno sguardo triste, persino quando ridono.

Anche quando palesemente si chiede al narcisista un momento di intimità, quella del cuore, lui mantiene uno sguardo guardingo e il controllo sulla situazione e su di sé.

Per approfondire:

A.Lowen, Il narcisismo, Feltrinelli

M.Borgioni, Dipendenza e Controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota, Alpes

J.Bowlby, Una Base sicura, Raffaello Cortina Editore

per saperne di più http://www.centrosarvas.it/1/il_narcisismo_e_la_grande_assenza_11510472.html

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