C’è la famiglia tradizionale, la famiglia monogenitoriale, la famiglia allargata, la famiglia arcobaleno. E poi c’è la famiglia arcobalenga (ndr ba-lén-go epiteto dialettale per persona strana, bizzarra). Io sono una madre balenga di famiglia arcobalenga.

Nella famiglia arcobalenga si fa casino anche con i nomi dei figli, li confondi. Io chiamo Lorenzo Marta e Marta Lorenzo. La vecchiaia vera arriva quando prima del nome corretto risali nella genealogia fino agli antenati australopitechi. Sono troppo giovane per soffrire di demenza senile, sono troppo vecchia per patire la svagatezza adolescenziale.

Nella famiglia arcobalenga non ci sono saggi che dicono saggezze. Sarebbe stato bello se i miei mi avessero insegnato qualcosa di definitivo sulla vita, i valori, precetti più spendibili di “nella minestra non scartare i fagioli che son pieni di proteine”. Ma alla fine le frasi definitive funzionano solo se prima incendi degli arbusti, se hai una tunica e delle tavole in mano o roba così. Però da loro ho imparato che nei bar se ti chiamano per nome o “professore” (questo solo nel caso in cui tu sia davvero professore), se sanno come prendi il caffè e te lo servono col sorriso, è facile che tu sia una persona che sa stare al mondo.

Nella famiglia arcobalenga in cui sono cresciuta l’insegnamento non era ribellatevi, ma siate libere, pensate con la vostra testa, istruitevi. Nessuno l’ha mai detto a voce alta. Una famiglia, come dice la parola stessa, non impartisce lezioni, ma trasmette una familiarità, una sensibilità. Mi sono familiari l’inclusione (che è comprensione della diversità), la perseveranza e il senso del grottesco per esempio. Ma anche un certo distacco e un lieve cinismo (si sviluppa la familiarità anche alle malattie). Poi ci sono le conquiste, le conquiste sono i territori sconosciuti che scegli di esplorare tu, senza che i genitori te li abbiano mai indicati. Tra le mie conquiste: l’allegria.

Nella famiglia arcobalenga succede che le cose più sensate le dicano i bambini. Ho chiesto a mia figlia quale fosse, tra tutti quelli visitati insieme, il suo posto preferito: Legoland, il mare in Sicilia, la casa della nonna, quella di papà a Dubai… e lei ha risposto “Io, io sono il posto che preferisco”. Lo vedo che si sente bellissima e perfetta, non sarà così per sempre. E anche per me il posto preferito è lei, insieme a suo fratello, è questo sì sarà per sempre.

Nella famiglia arcobalenga cantiamo una volta a settimana, di sabato sera, prima di dormire “disse la vacca al mulo quanto ti puzza il culo il mulo disse alla vacca è colpa della cacca”. Non si fanno eccezioni per gli altri giorni. Non siamo strambi come in un film di Wes Anderson, siamo reali e male impaginati, noiosi e stonati.

Nella mia balengaggine rabbrividisco di fronte a ogni esagerazione tipo “mia madre è la mia eroina”, “mio padre il mio mito”, “mio figlio l’uomo della mia vita”. In generale temo l’agiografia dei sentimenti: le persone sono capaci di cose meravigliose, ma non esistono persone meravigliose tout court, mi spaventano i santini perché non tengono conto delle contraddizioni del vivere. Non è un caso che i santi siano tutti morti.

La mia famiglia arcobalenga è un posto sicuro coi letti sfatti, una maionese del 92 in frigo, amici a tavola che sanno dove trovare posate e bicchieri (mobile cucina, anta bassa), bambini che hanno preoccupazioni da bambini, genitori che si sono amati, lasciati, mai persi. È un’allegria che ci è costata ed è per quello che vale di più.

font tiasmo.wordpress.com

Illustrazione quella balenga di Letizia Rubegni

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