Di dismorfofobia se ne parla già dall’800 ma ogni epoca sviluppa la propria psicopatologia legata al corpo: pensiamo al ruolo, oggigiorno, dell’anoressia.

Accanto ad una richiesta di un intervento estetico, è possibile che si celino dei disturbi di carattere psicopatologico. Recenti studi (Persichetti, Russo, Tambone, 2012) segnalano la presenza, in reparti di dermatologia e di chirurgia estetica, di una percentuale dal 5% al 33% di persone che presentano un disturbo di dismorfismo corporeo.

Questo è un dato molto importante in quanto fa riflettere sulla necessità di effettuare un’accurata valutazione psicologico-psichiatrica per evitare di intervenire chirurgicamente su persone che non saranno mai soddisfatte della loro forma fisica.

Il termine dismorfofobia deriva dal greco e vuol dire cattiva forma. Fu utilizzato per la prima volta da Morselli nell’800 (Benvenuti, 2007) per indicare un vissuto soggettivo di deformità o di difetto fisico di una parte del corpo che lo pone al centro dell’attenzione degli altri, nonostante oggettivamente il corpo si presenti assolutamente nella norma. È possibile che il difetto sia presente, ma comunque viene vissuto in maniera esasperata e non congruente con il difetto stesso. Jaspers (Benvenuti, 2007) considera la possibilità che il disturbo possa prendere la forma di un’idea prevalente, ossessiva o addirittura delirante. Il soggetto trascorre la maggior parte del suo tempo nella valutazione di questa anomalia e ciò lo induce ad una evidente forma di disagio in ambito oltre che personale, anche sociale. In questo caso il corpo smette di essere muto e si carica di un significato di inadeguatezza fisica ed esistenziale.

Questo è il caso di una celebre opera pirandelliana dove nel protagonista, prende forma un’esperienza dismorfofobica: già mi figurai che tutti, […] dovessero accorgersi di quei difetti corporali e altro non notare in me. […] Per gli altri che guardano da fuori, le mie idee, i miei sentimenti hanno un naso. Il mio naso. […] Mi vidi. Ero io là, aggrondato, carico del mio stesso pensiero, con un viso molto disgustato […].

L’aspetto interessante è che pare che ogni epoca sviluppi la propria forma di patologia e se pensiamo a patologie legate al corpo oggi, non si può non far riferimento ai disturbi del comportamento alimentare.

I pazienti con DCA, spesso donne, possono presentare anoressia nervosa o bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata. L’anoressia nervosa, porta le adolescenti, ad avere una costante paura di acquisire peso e a non avere la consapevolezza del proprio corpo, vissuto sempre in maniera inadeguata e visto sempre in sovrappeso, anche quando si è oggettivamente sottopeso. In realtà un soggetto che presenta queste problematiche è alla costante ricerca di sé: il corpo rappresenta solo l’oggetto e il luogo più facile per fare ciò e per controllare le emozioni. Le anoressiche non riescono a definire se stesse a partire dalle loro emozioni e sensazioni: hanno bisogno di rapportarsi con misurazioni oggettive come il peso e la taglia (Stanghellini, Ambrosini, 2010). Sentono il loro corpo a pezzi e per questo, il corpo, non rappresenta per loro una base sicura per la costruzione della propria identità (Stanghellini, Ambrosini, 2010).

La personalità di queste pazienti è caratterizzata da bassa autostima, impulsivi e perfezionismo patologico. Pur essendo una patologia dal carattere multifattoriale, gli aspetti psicologici e culturali ne rappresentano i fattori di rischio. Attualmente il valore del cibo è cambiato, non rappresenta più un segno di benessere e salute e l’immagine corporea prevalente è quella di donne magre che riscuotono successo, popolarità e ricchezza. A differenza di altri disturbi, si tratta di un problema presente nei paesi industrializzati, a dimostrazione di come l’aspetto culturale occupi un ruolo importante nella vulnerabilità allo sviluppo della patologia (Bordo, 1997).

Susan Bordo (Bordo, 1997) nella sua analisi culturale, riferisce l’oppressione di queste donne causata dalla tirannia della snellezza. L’anoressica non accetta il proprio corpo, non lo alimenta, lo distrugge gradualmente. Si potrebbe fare riferimento a una crisi della presenza (Martinotti, 2010). Il cibo non ha più valenza vitale ma finisce per assumere un significato in grado di deformare il corpo (Martinotti, 2010). Mangiare secondo le proprie regole, diventa un modo per esercitare un controllo su loro stesse.

E’ stata valutata anche una correlazione tra disturbo dismorfofobico e disturbi di personalità. I più comuni erano narcisistico, borderline, evitante, paranoico, schizotipico (Bellino et all., 2006).

Prendiamo in considerazione il disturbo narcisistico. Il termine narcisismo risuona spesso nella presentazione della personalità di coloro che prediligono l’apparenza e l’amore per se stessi. La personalità narcisistica può essere associata a delle costanti della cultura contemporanea: il terrore della vecchiaia e della morte, l’alterazione del senso del tempo, la paura della competizione (Lash, 1981). I soggetti con un disturbo di personalità narcisistica possono apparire superbi, arroganti e manifestano un senso di superiorità. In realtà questi soggetti celano un sentimento di inadeguatezza, si sentono indifesi, spesso hanno una sensazione di vuoto interiore e hanno il timore che gli altri possano vederli in questo modo (Munno, 2008).

In un’epoca di rapidi cambiamenti in cui l’impressione che abbiamo sugli altri conta più della nostra sincerità e integrità, l’immagine prende il posto della sostanza e la persona, intesa come parte di sé che si mostra al mondo, diventa più importante della nostra autenticità. La persona narcisista ha un costante bisogno di oggetti sé, cioè di persone che gli manifestano sostegno, ammirazione, approvazione, riempiendo quindi, il vuoto interiore e consentendo l’incremento della loro autostima.

Tutte queste manifestazioni psicopatologiche hanno in comune il bisogno da parte degli individui, di riconoscersi nello sguardo degli altri. Vitangelo Moscarda (Pirandello, 2012) ebbe bisogno dell’intervento della moglie per riflettere sulla sua identità, le anoressiche, secondo un’ottica fenomenologica, sembrano mettersi a fuoco attraverso lo sguardo degli altri e la persona narcisista ha il timore del giudizio degli altri, ma ha bisogno degli altri per colmare il suo senso di inadeguatezza. Lo sguardo degli altri può renderci soggetto o in caso contrario reificarci, come sostiene Sartre (Persichetti, Russo, Tambone, 2012).

BIBLIOGRAFIA:

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