Il corpo è dialetticamente adatto ad essere sintomo e simbolo della propria storia, dare un corpo vuol dire identificare un tutto, dà l’idea del tutto, prendere corpo è concretizzare, è essere; il corpo del disagio permette di poter essere, è identità, appartenenza al gruppo di quelli accettati dalla società e riconosciuti come appartenenti a una “casta”, ossia in possesso di un’identità.

Il corpo nella malattia diventa oggetto non riesce più a con-tenere il vissuto, diventa un contenitore frammentato e frammentario che lascia fuoriuscire parti intime e profonde; parti frammentate che si lanciano fuori dall’oggetto corpo, confusione, paura, sofferenza, perdita di memorie e di umori, un malessere che diventa evidente ed evidenziato dalle malattie del vissuto del corpo

I corpi della psichiatria esprimono il senso del proprio dolore, un dolore che è del pensiero e dello stare al mondo, è la difficoltà della relazione con l’altro è lo star male con sé stessi, è la ricerca di una soluzione che riporti la quiete.

Nel lavoro con il gruppo dei pazienti in seduta di psicomotricità, si segue idealmente, un percorso inverso. Si cerca a partire dal corpo, di promuovere lo sviluppo di un pensiero verbale, che Hanna Segal definisce la capacità di comunicare con se stessi tramite simboli e parole, necessari per entrare in contatto con il mondo esterno e anche con quello interno.

Le proposte sono quelle che nascono dall’ascolto del gruppo, l’indirizzo lo dà la loro storia e il loro qui ed ora, se il desiderio di controllo è molto si comincia con il movimento della ginnastica posturale, asettico e preciso, si osserva e si ascolta, si lavora sulle contratture che lentamente lasciano lo spazio allo sguardo, ognuno dei soggetti sperimenta il proprio limite e cerca di fare qualche passo fuori dalla corazza muscolare che difende e protegge la fragilità.

Le proposte originano dall’ascoltare il corpo dimenticato, le tensioni che spesso sono solo raccontate come dolore, diventano le parole iniziali del racconto di sé, della propria sofferenza e del proprio passato oltre ad essere il punto da cui cominciare per ascoltarsi

Il soggetto comincia a raccontare con il corpo e con le parole e il messaggio diventa coerente con la postura, la storia di ognuno entra nel setting e il racconto è quello della vita non della malattia.

Lo psicomotricista prepara e organizza il luogo, crea la situazione e la “modifica” giocando con il proprio mondo che va a incontrare il mondo dell’altro e gioca per lui, è il non giudizio, è l’incontro di persone che nel qui e ora mettono in scena un racconto per ritrovare quel “linguaggio” che sembrava perduto; lo psicomotricista prepara un dispositivo per permettere di ritrovare lo spazio e il tempo dello stare nel mondo.

Il dispositivo è il setting, le regole, l’ascolto e la gestione del setting nel tempo e nello spazio, è la creazione di un ambiente che favorisca il desiderio di crescere.

È il dispositivo che deve poter permettere il desiderio, che garantisce la sicurezza, che permette la messa in gioco del Sé, che permette di vedere la paura, di guardarla e di poterla vivere, di sentirla meno distruttiva, di poter riconoscere il proprio muro e di raccontarlo.

L’approccio psicomotorio ha come terreno specifico di intervento il rapporto tra il corpo e i processi psichici nella costruzione dell’identità attraverso la via corporea, nonché il rapporto tra corpo ed espressività Attraverso questo approccio è la persona non il suo malessere a essere accolto, il corpo che entra nella stanza permette alla sua storia di entrare in gioco, viene accolto con il suo nome e non con la sua etichetta che spesso è solo uno dei modi per appartenere al mondo, le maschere per sopportare il vuoto e assomigliare ad altri, per non sentirsi soli e brutti.

Lo spazio è quello da gestire con il proprio corpo: vicino, lontano, il dentro, il fuori, il sopra e il sotto ma è anche e soprattutto lo spazio interno ed esterno che in questi ragazzi è confuso e sofferente, il movimento spesso copre lo spazio ed è l’iperattività.

La distanza e il contatto si possono sperimentare in tutte le loro sfaccettature, per chi ha un disturbo legato alla comunicazione e al corpo la difficoltà è quella di vivere le sfumature dei contrasti, spesso esistono soltanto la distanza massima o la fusione con l’altro, che esprime il bianco ed il nero, la felicità o la disperazione; il lavoro che si propone è sperimentare e ascoltare la distanza, le distanze, vivere le mezze misure, lo sfiorarsi appena, la vicinanza senza contatto, sentire l’altro nella comunicazione del corpo perché sperimentandola nella sicurezza del setting si può riuscire a non avere paura di perder — si.

Parlare con il corpo e comunicare con il corpo è quello che contraddistingue il lavoro dello psicomotricista, una stanza, un setting in cui le persone si raccontano senza parole ma in una “danza” fatta di spazi, di tempi, di contatti e di lontananze, senza categorie e senza diagnosi, raccontarsi con il corpo e stare con l’altro con il proprio corpo, dialogare, raccontarsi, muoversi e fermarsi.

ll corpo dello psicomotricista è il corpo che ascolta perché ha imparato ad ascoltarsi, che si muove perché sente di poterlo fare, che sta nello spazio del mondo con sé stesso e con l’altro, sta perché sente il piacere e il dispiacere, il desiderio e la noia, sta con la rabbia e con la gioia, sta, ascolta e parla senza parole, crea legami per far sentire liberi e per essere libero

E’ come riproporre in uno scenario terapeutico dj gruppo il passaggio dall’investimento narcisistico all’investimento oggettuale, in cui il narcisismo da corporeo (l’Io corporeo) diventa psichico (l’Io psichico). Marco Barisone

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