Tante maschere, tanti avatar, per ottenere follower, per apparire felici, sfrontati, per non essere sfigati, sull’onda di un’euforia scattosa di un corpo che si fa carico espressivo di una incapacità di gestire emozioni e relazioni.
Che la rivoluzione digitale abbia stravolto aree canoniche del vivere quotidiano lo sapevamo già (Volpi, 2014). Lo vediamo tutti i giorni, nelle strade, nei mezzi pubblici, nei ristoranti, nelle scuole, nelle nostre abitazioni. Adolescenti e adulti, vecchie e nuove generazioni assorti negli algoritmi del villaggio globale, ognuno alle prese con motivazioni distinte in base al loro timing cronologico.
Adolescenti e web
L’area sociale, dell’essere in contatto sempre e comunque con l’altro (a parte i rari casi di disconnessione alla rete pagati a caro prezzo da ansia e aspettative di ricezione soprattutto per i giovani) è quella più investita dallo stravolgimento digitale nato, lo ricordo nell’obiettivo di Steve Jobs di dare un maggiore senso di qualità alle nostre vite.
Più rapidità nei contatti, più connessione con l’altro, meno solitudine, più tempo per vivere appieno le nostre esistenze, che però nel tempo ha mostrato un allontanamento esponenziale dalla via intenzionale di partenza.
Il ruolo dei social network
E questo vale lo sappiamo soprattutto per i nostri ragazzi, che vivono l’incipit delle loro relazioni nella costante messa a confronto con il mondo digitale, in cui si è facilmente visibili nella forma di un corpo che viene mostrato, che si muove scattosamente nei video di Tik Tok, che accompagna lo scandire delle giornate e delle relazioni con video, storie, foto postate su Instagram.
Si da così struttura ad un’identità in fase di formazione appropriandosi di like e di follower che sono simbolicamente trasformati in vere e proprie leve identitarie di riconoscimento ed apertura verso un gruppo social plasmato sul consenso mediatico dell’altro: “non accetto l’amicizia di persone che sono seguite da pochi” sentenzia Jacopo “perché vuol dire che non sei importante e che vali poco. Nella mia cerchia di amicizie tutti hanno tanti follower”.
Ci si forma sui social, ci si identifica, si plasma l’appartenenza ad un gruppo, e a volte, oggi molto più di prima, chi ha difficoltà a esprimere le sue emozioni, che mostra timidezze nel contatto con l’altro, chi ha paura di sbagliare, di essere deriso dal gruppo, si rifugia nell’apparente fortino di vetro del mondo digitale, quella che Nicholas Carr definisce la gabbia di vetro (2015), cercando sicurezza nella protezione del mancato contatto con l’altro.
Dietro lo schermo
L’apparente contatto solo dietro lo schermo permette infatti di superare a ritmo di touch vergogne, e titubanze che molto spesso vengono bypassate sull’impronta istintuale di far ridere, di deridere, e divertire in modo caricaturale l’altro con video comici, che di comico hanno poco, riempendo il web di un’ euforia semi-demenziale, poco coordinata che nasconde in modo diretto, per un attento osservatore la difficoltà a sapersi esprimere, a controllare le emozioni non avendo la possibilità di accedere ad un vocabolario emozionale strutturato su canali comunicativi reali.
La forza del sorriso di cui parla Vittorino Andreoli (2019), si frantuma in una gabbia di vetro che esplode e ci rimanda codici espressivi nuovi come emoticòn che ridono fino alle lacrime se l’altro cade, se si fa male, se è in difficoltà, Haha Haha che arrivano in risposta a messaggi di senso emotivo che non vengono colti, screen shot di scambi di messaggio in cui si prende in giro l’altro e si da avvio ad una catena di risi accorati che denunciano nella poca armonia di risposta una carenza di divertimento sincero.
Tutorial caricaturali in cui si scherna l’autorità genitoriale, della scuola, e dell’adulto in generale per fare leva di separazione tra mondo dei grandi ormai vecchi e fuori tempo, nel motto generale “che ne sapete voi i tempi sono cambiati” e derisioni del fare dei grandi che di rimando forse oggi hanno poco di eroico.
Tante maschere per apparire felici
Nell’attivazione generale dei neuroni specchio l’agire divertente e convulso dell’immersione nelle porte aperte del villaggio globale manda rimandi epidemici che, senza il filtro della coerenza e della consapevolezza, rischiano di creare una massa gruppale uniforme in cui il generazionale si fonde in un Haha Haha condiviso.
Tante maschere, tanti avatar, per ottenere follower, per apparire felici, sfrontati, per non essere sfigati, sull’onda di un’euforia scattosa di un corpo che si fa carico espressivo di una incapacità di gestire emozioni e relazioni.
Adulti consapevoli dovrebbero mantenere il loro ruolo di guida e non cadere nella trappola di emulazione giovanile per conquistare uno spazio di incontro solo in apparenza facile e profondamente diseducativo (Volpi, 2017), trasmettere il vero senso del divertimento, la gioia di essere nelle relazioni, di giocare e prendersi bonariamente in giro tra fratelli, amici, compagni, mamma e papà, andare oltre il giudizio, il mancato riconoscimento di un’appartenenza valoriale, e comprendere che come nel bambino dietro il capriccio, si nasconde un disagio che si esprime con codici espressivi propri del tempo di vita.
Haha Haha codificato e interpretato per agire e non essere passivi al deragliamento comunicativo del tempo in cui siamo.
Bibliografia
Andreoli V. (2019), La forza del sorriso. La cura della bocca, significati e simboli, Marsilio editore.
Carr N. (2015), La gabbia di vetro, Raffaello Cortina editore.
Volpi B. (2014), Gli adolescenti e la rete, Carrocci.
Volpi B. (2017), Genitori Digitali. Crescere i propri figli nell’era di internet, Il Mulino.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay