“Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi. Naturalmente ne fui stupito e chiesi perché.
Risposero: “Beh, dicono che pensano con la testa.
Nessun uomo sano di mente pensa con la testa”(C. G. Jung)
Educare alla corporeità significa considerare il corpo di ogni singola persona come l’espressione visibile dell’Essere che c’è in ognuno di noi: dei suoi sentimenti, delle sue emozioni della sua biografia. Un corpo che comunica, che ha un linguaggio fatto di posture, gesti attitudini, movimenti, tensioni, dolori.
In questa prospettiva si tratta in realtà di educare la persona in tutto il suo essere all’ascolto dei messaggi corporei unici e irripetibili, di permetterle di imparare qualcosa su se stessa e di scoprire la propria forza.
L’essere umano esprime la sua unità psicofisica non solo attraverso le forme pensiero ma anche per mezzo di un corpo che il pensiero stesso “abita” e modella.
Pensare con il corpo è quello che fa un bambino quando inala il primo respiro fuori dall’utero materno, quando cerca il seno della madre al primo stimolo della fame, quando esplora con gli occhi o ascolta, quando muove i primi passi, in una scala evolutiva che gli consente di acquisire specifiche funzioni che lui stesso identifica con parti diverse del proprio corpo (J. Tolia, 2000).
Nella primissima fase la capacità di un neonato di “donare” il suo peso, di abbandonarsi tra le braccia della madre, di farsi nutrire lo renderà abile a sfruttare la gravità per farsi sostenere dalla terra anche in posizione eretta da adulto. La qualità della nostra capacità di abbandonarci, di affidarci, di lasciar andare, ci mostra la qualità di appoggio della nostra postura, del nostro radicamento, della nostra sicurezza: siamo ancora sul piano orizzontale del movimento. La fiducia è intimamente connessa alla corrispondenza tra le nostre percezioni e la realtà.
Nella fase successiva di differenziazione il movimento del bambino sarò caratterizzato dallo spingere per portarsi in piedi (piano verticale) e porre un limite all’appoggio totale con la terra; fino ad arrivare alla fase di affermazione che si esprimerà andando verso qualcosa o qualcuno (piano sagittale) usando sia gli arti inferiori che superiori.
Ognuna di queste tappe ha come premessa la precedente, e se tutto l’iter si è svolto senza intoppi, l’ultima tappa ci permetterà di scegliere, di prendere ciò che ci interessa e di integrarlo.
Tutte queste fasi psicologiche si riflettono inevitabilmente sul corpo e lo portano ad organizzarsi in modalità dinamiche e posturali totalmente diverse. Ogni intervento sul corpo in educazione avrà quindi l’obiettivo di riorganizzare e reintegrare il/i movimento/i
mancanti comportando una conseguente riorganizzazione sul piano psichico.
In un contesto educativo non si tratta tanto di lavorare con il corpo affinando una tecnica che ci permetta un’esecuzione perfetta di una determinata posizione o di un movimento, quanto lavorare sul simbolo che la forma corporea assunta rappresenta. Il corpo si esprime in tante differenti forme, che sperimenta, che rivive attraverso
il simbolo, diviene ciò che rappresenta (come il bambino che gioca ad interpretare un animale, un elemento naturale, un oggetto).
“In questa prospettiva si cambia modalità di comunicazione, si abbandona la parola per ritrovare il linguaggio antico con tutta la forza che il simbolo ha di esprimere e rievocare emozioni”
(Campanini – Ciabotti 2012)
L’utilizzo della fiaba, della mitologia, della visualizzazione creativa nel lavoro corporeo e gli archetipi che evocano ci donano uno strumento ideale per far emergere gesti, movimenti e posture inizialmente dimenticati. C’è un sentire collettivo riguardo a simboli universali (la solidità di una montagna, il radicamento di un albero) e una risonanza simbolica personale in continuo mutamento: un grande gioco in cui si sperimentano, rappresentandole, nuove forme, altri modi di essere e di vivere lo spazio che ci circonda.
Infine, non si può parlare di educare alla corporeità senza un’attenzione particolare alla respirazione: espressione immediata dell’emozione, così vicina a quest’ultima che risulta molto difficile distinguerla dall’emozione. Il nostro modo di respirare influisce sul
nostro comportamento e sulle funzioni fisiche: è un movimento interno che stabilisce il movimento del corpo nello spazio esterno. Inalando ed esalando definiamo il nostro re-stare nel mondo: accogliamo, prendiamo, portiamo il mondo all’interno/lasciamo
andare, doniamo, portiamo il nostro essere all’esterno ad ogni respiro. Ogni situazione della vita, ogni persona, ogni ambiente con il quale ci troviamo ad interagire ci co-stringe ad adattare il nostro respiro, il nostro personale modo di essere, a ri-definire il nostro confine o ad espanderlo. Per questi motivi è necessario che il corpo vesta il respiro come un abito.
L’uso del corpo in educazione ci permette di ascoltare dall’interno come ci muoviamo nell’ambiente che ci circonda, di trovare nuovi linguaggi per inter-agire, di re-integrare movimenti e organizzazioni spaziali.
“Una consapevolezza che includa anche le informazioni del corpo e che sia capace di sintonizzarsi sul registro del sentire oltre che del pensare, allarga il campo della coscienza. Ci sono facoltà e risorse che operano naturalmente nel corpo come regolatori di importanti funzioni biologiche. La loro attivazione consapevole inserisce la
nostra intera esperienza percettiva nel campo della coscienza e amplia la gamma di possibilità che abbiamo a disposizione nel rapporto con noi stessi e con il mondo”(Melucci 1991)