Il libro ha come argomento padre il concetto di corpo nei disturbi del comportamento alimentare, prende in considerazione aspetti sia di tipo psicodinamico che cognitivo- comportamentale, affronta il discorso fondamentale del passaggio da corpo soggetto a corpo oggetto e il suo bisogno ossessivo e compulsivo di modificazione.
Oltre ad aspetti meramente descrittivi e didattici affronto il discorso dell’approccio alla persona affetta da DCA come persona che racconta attraverso il proprio corpo il dolore interiore e il vuoto che li accompagna.
Attraverso il lavoro che ha come cornice l’approccio psicomotorio viene affrontato l’importante lavoro di passaggio dal corpo oggetto della malattia al sentire il corpo come mezzo di comunicazione e il gesto come un nuovo linguaggio che parla del sé profondo
Questo testo racconta di “corpi che si muovono incessantemente perché fermarsi è pensare e pensare è stare in contatto con il proprio vuoto e la mancanza di sé. E’ terrore. È la descrizione attraverso le parole dei protagonisti in cui i corpi costruiti dal giudizio e dalla ricerca ossessiva di messa a tacere del dolore attraverso i sintomi si presentano etichettati “io sono anoressica, io sono bulimica, io sono obesa”, ectoplasmi, né un nome né un cognome ma una diagnosi “se non sono anoressica non so chi sono” propongono e presuppongono un percorso di annullamento della vita, un’appartenenza ad un parassita che vive della propria anima e del proprio corpo, disturbo alimentare come compagno di viaggio, una stampella, un cappotto che tiene nascosto il vuoto del dolore, della solitudine, della sofferenza esistenziale, un’armatura che sembra contenere un involucro vuoto che ha paura di fare capolino e di scoprire che si può essere ed esistere.
Successivamente ai capitoli in cui la descrizione è oggettiva vengono inseriti i capitoli in cui si descrivono il lavorare il corpo ossia il lavoro della malattia, la modificazione, il controllo, il possesso dell’oggetto, il percorso fatto sino al momento in cui la malattia viene vista come una difficoltà, quando la luna di miele con il disturbo giunge al suo capolinea, si ha il lavoro sul corpo che presuppone un lavoro in gruppo in cui il conduttore funge da paracadute e in un incontro tra soggettivo e oggettivo si prende in considerazione il lavoro che la sottoscritta (fisioterapista, psicomotricista e psicologa) conduce in cui l’obiettivo è l’agire dell’altro su un corpo che è ancora sull’allerta, che ha paura di sentire il vuoto ma prova a fidarsi, e lavorare col corpo è l’emozione, lasciarsi vivere, aprirsi al dolore e allo star bene, accettare la mezza misura che non vuol dire non sperare più nella felicità, ma piuttosto godere dei piccoli passi di benessere.”
In appendice viene presentato un lavoro di gruppo “Io ho un corpo, io sono un corpo” in cui i partecipanti mettono a nudo le loro sensazioni ed emozioni rispetto allo stimolo proposto ossia cosa vuol dire avere/essere corpo per una persona che ha fatto del suo corpo un modo per sopportare l’angoscia che il dolore e il vuoto hanno creato.
Questo testo è corredato, accompagnato reso più concreto dalle parole dei partecipanti al gruppo che raccontano le loro angosce e lo riescono a fare in una cornice in cui l’accoglienza e l’ascolto è alla persona e non alla sua confusione identitaria in cui la patologia diventa l’essenza dell’essere